In un precedente articolo avevo parlato delle mansioni e della formazione dei content strategist. Molti di essi provengono da un’esperienza editoriale come la scrittura per il web. Dovendo scrivere vari tipi di contenuto, si trovano spesso a fare i conti con la seo: cercano e inseriscono le parole chiave in modo armonico nel testo e nei title, sottotitoli e description.
I contenuti devono essere sì trovati, grazie alle tecniche SEO, ma devono anche essere chiari per l’esploratore del sito: lo devono rassicurare su quello che troverà dopo e sulle azioni che ha appena compiuto o sta per compiere. In pratica le parole lo prendono per mano, lo accompagnano come un amico in ogni passo delle sue perlustrazioni online.
In questo contesto lo UX writing si inserisce alla perfezione: è una disciplina relativamente nuova ma sta acquistando sempre più importanza nel panorama della gestione dei contenuti per il web.
Sfrutta il potere intrinseco delle parole, tenendo conto della user experience durante la navigazione, e grazie a loro, la semplifica e la rende gradevole al visitatore.
In tutto ciò cosa può fare il content strategist?
Grazie alla sua formazione ed esperienza in diversi campi, il content strategist riesce a integrare lo UX writing nei processi che regolano la progettazione e la creazione dei contenuti. Spesso scrive lui stesso i testi o i microtesti che impreziosiscono le pagine web.
Come vedrete tra poco, si può occupare dei contenuti anche a un livello più ampio.
Vediamo ora a livello locale cosa può fare. E per livello locale intendo proprio i testi mignon presenti sulla pagina o sulla app: a una lettura fugace non si notano (ed è proprio meglio così!), ma con tutta loro potenza concentrata in pochissimi bit, aiutano il navigatore a veleggiare sereno nelle pagine web.
Alcuni esempi pratici di UX writing
Il content strategist, nella veste dello UX writer, scrive i microtesti: ovvero i testi che, come dicevo, aiutano il visitatore a esplorare il sito web o la app che utilizza per fare un bonifico, richiedere un preventivo, realizzare un design o creare un breve video.
Ma ci sono altri tipi di microtesti.
Sono i messaggi di errore che compaiono quando compilate un modulo di contatto, di pagamento o quello di iscrizione a una newsletter. Si trovano all’interno delle pagine 404 e vi aiutano a riprendere il percorso che si è interrotto per qualche motivo, ma anche più semplicemente i testi dei pulsanti o delle call to action (gli inviti all’azione).
Sono quei testi che con tono amichevole, rassicurante e talvolta spiritoso, vi aiutano a procedere nella navigazione in caso di intoppi, oppure semplicemente nella fase di acquisto di un prodotto. Insomma come degli amici che in caso di bisogno ci sono sempre: chi non ne vorrebbe uno sempre al suo fianco?
UX writing significa anche pensare più in grande
Sì proprio in termini di ampiezza del testo e di ragionamento di maggior respiro. Mi spiego subito meglio.
Di recente ho ricevuto le nuove condizioni contrattuali di Typeform, il servizio che permette di compilare sondaggi e questionari online. Uff, ancora aggiornamenti legali? Che noia, direte voi.
E invece il team dei contenuti ha reso disponibile anche una versione in plain English, immagino per i non addetti ai lavori e per chi non parla inglese a livello di un madrelingua (presumo una buona fetta dei loro utenti). Non è un pensiero carino e utile da parte loro?
Se leggete gli articoli del blog di Neil Patel, sono un capolavoro di UX writing. Frasi brevi, numerosi elenchi puntati, titoli, sottotitoli, ripetizione di concetti, formattazione esemplare, lessico semplice, il tutto al limite dello scolastico. Sono articoli lunghissimi, ma si arriva sempre in fondo. E la ruota della fortuna che vi fa vincere uno dei suoi omaggi, se vi iscrivete alla newsletter? Geniale!
Spesso si porta ad esempio il manuale di stile di Mailchimp per il tono di voce. Ma avete mai letto le istruzioni in inglese che aiutano a utilizzare la piattaforma? Ecco, non so voi, ma io mi sono trovata in difficoltà più di una volta: quando traducevo mentalmente, tornavo sempre indietro a rileggere il testo perché dopo poche parole mi perdevo. Di sicuro possono fare ancora molti miglioramenti per i loro clienti non di madrelingua inglese che sono tanti.
Nei primi due esempi ci sarà stato sicuramente lo zampino di un content strategist 😉
Altri aspetti da considerare
Le variabili che intervengono nella UX writing però riguardano anche altre attenzioni che il content strategist o lo UX writer dedica ai lettori dei testi.
Volendo ampliare i campi d’azione dello UX writing, si può parlare anche di copywriting inclusivo e di leggibilità dei testi (premiata anche da Google!).
Contenuti inclusivi
In un recente articolo di Gather Content si parla di copywriting inclusivo: fa riferimento a tutte quelle buone pratiche di scrittura per raggiungere il più ampio pubblico di persone, rendendo il contenuto il più accessibile possibile.
È il copywriting che vuole arrivare a tutti, ma proprio a tutti, alla faccia delle buyer persona 😉
Contenuti leggibili
Un altro fattore importantissimo è la leggibilità di un testo. Non parlo solo degli indici di leggibilità (ne cito solo due: il Gulpease per l’italiano e il Flesch per l’inglese). Un concetto molto ampio che tocca vari aspetti della lingua. Il progetto eccellente del team di Sarah Richards di Content Design London si dedica alla leggibilità ed è spiegato nelle linee guida per creare contenuti facili da comprendere (cit.) che vi invito a leggere.
Di leggibilità parla anche Luisa Carrada in uno dei suoi ultimi post che vi riporto qui di seguito.
“Ci sono testi comprensibili e grammaticalmente impeccabili, ma non altamente leggibili. L’alta leggibilità serve a far capire già a colpo d’occhio se quel testo risponde alle nostre domande e curiosità e a far sì che per capire basti una sola lettura…
La leggibilità è fatta soprattutto di: ordine delle informazioni dalla parte di chi legge, titoli e sottotitoli parlanti, sintassi piana e ordinata, parole che l’utente capisce subito, formattazione funzionale, spazi.” (cit.)
Utilissima la sua check list sulla leggibilità alla fine del volumetto Struttura & Sintassi da fotocopiare, stampare e attaccare alla parete davanti a voi 😉
Non voglio entrare ora nel merito delle suddivisioni dei compiti e delle aree di competenza tra content strategist, UX writer, content designer e UX designer. Spesso alcune di queste aree sono territori d’azione degli uni e degli altri che si sovrappongono in diversa misura.
Il content strategist secondo me può assumere il ruolo di coordinatore che scatta una fotografia d’insieme sulla situazione dei contenuti e la sottopone a tutte le persone ritratte. All’occorrenza può dedicarsi: all’architettura dei contenuti, alla loro scrittura e a prendere tutte quelle misure per renderli comprensibili, accessibili, inclusivi e interessanti per chi li legge.
Non vuole porsi al di sopra di queste figure, ma desidera favorire il dialogo e i processi che si sviluppano grazie alle diverse figure coinvolte quando per esempio si progetta un sito.
Personalmente, auguro una collaborazione fruttuosa tra queste figure professionali che si occupano dei contenuti a diversi livelli. E voi che ne pensate? Fatemi scoprire la vostra opinione!
Per approfondire: un articolo che spiega molto bene le differenze tra UX writing e Content Strategy che avevo tradotto a suo tempo e un altro invece che si sofferma anche sugli aspetti comuni delle mansioni e delle abilità che possono andare bene per l’uno e per l’altro ruolo.
Articolo aggiornato il 12 agosto 2020.
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Foto di Cheryl Holt da Pixabay
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