Play Copy 2017: un resoconto appassionato

Play Copy 2017: un resoconto appassionato

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Play Copy, il mio convegno del cuore sul copywriting, quest’anno ha cambiato nome ma non sostanza. E che sostanza! Quella del 4 febbraio è stata un’altra edizione ricchissima di contenuti snocciolati da relatori stellari.

Ho selezionato i concetti che per me più importanti e che vi potranno tornare utili se non avete potuto partecipare in aula o da casa.

Ho seguito il Play Copy 2017 in streaming e mi sono emozionata, ho riflettuto parecchio, talvolta mi sono sentita inadeguata e allo stesso tempo mi sono caricata così tanto, che non oso immaginare se fossi stata lì presente.

Mi sono portata a casa numerose indicazioni da mettere subito in pratica e ispirazioni su cui ragionare. Le ho scritte sul quaderno degli appunti di webinar e convegni, alla velocità della luce e con grafia al limite dell’incomprensibile (perché gli spunti sono stati davvero tanti e solo su carta si fissano bene).

Il tema di questa edizione era “Impara a usare al meglio le parole per il tuo brand” con riferimento non solo al brand aziendale, ma anche a quello più strettamente personale quando ci si promuove per lavoro.

1. Suscitate emozioni forti con lo storytelling

Carlotta Politano, Responsabile Web&Social Media Manager della LAV (Lega Antivivisezione Italiana), nel suo intervento ci ha parlato dell’importanza di suscitare emozioni forti quando si raccontano storie: rabbia, gioia, stupore, sgomento, divertimento per esempio. E considerando il settore delicato della vivisezione sugli animali, che fa parecchio indignare (almeno me), non può che essere più appropriato.

Il fine è sempre il coinvolgimento del target di riferimento (in questo caso un pubblico di giovani donne). Come parlare quindi della scarcerazione di sedici macachi da un laboratorio di sperimentazioni?

Con l’allegra e ironica storia stile Beautiful (sì avete capito bene!) degli amori di queste vivaci e libertine scimmie. Avete presente che contrasto? Vi lascio riflettere ma anche ridere con questo filmato.

2. C’è grossa crisi… o no?

La bravissima organizzatrice del convegno Valentina Falcinelli di Pennamontata ha spiegato come gestire la comunicazione di crisi partendo dalla riflessione che occorre ridimensionare il concetto di crisi stessa, oggi spesso sopravvalutato. Non si può parlare di grossa crisi (e qui ho riso pensando al santone Quelo interpretato dal comico Corrado Guzzanti) quando si riceve un commento negativo su un social.

Diversi sono i casi che “…vanno a intaccare i pilastri del corporate marketing” (cit.), come per esempio quelli delle grandi multinazionali, ai quali si risponde con il corporate umbrella. 

Con la tecnica S.A.R. (senti – adatta – rispondi) si può rispondere percependo, modellando e scrivendo con grande accuratezza il messaggio più appropriato. Ecco quindi che diventa molto importante scegliere le parole più adatte con estrema attenzione.

Alla fine di questo intervento abbiamo svolto l’esercizio preparato per noi e corretto in diretta da Valentina che ha scelto e commentato alcuni compiti postati su Twitter.

3. I curricula da paura

Sì perchè gli fanno davvero ribrezzo quelli che ha ricevuto negli anni il terzo relatore, Leonardo Luccone di Oblique Studio, in particolare i curricula in formato europeo. La necessità  di sfoltirli, semplificarli e scriverli in italiano corretto (e, mi permetto di aggiungere, di presentarli con un layout accattivante) sono le priorità assolute se volete farvi leggere.

Viva pertanto la brevità, la concisione, la selezione dei fatti e la scrittura col cuore e bando al curriculese.

4. Scrivere per tessere relazioni e con esse accrescere il business

Annamaria Anelli, esperta di scrittura professionale, ha parlato della differenza tra pausa e silenzio e di come riempirli con le parole. La pausa è un’attesa di ciò che ti aspetti mentre dal silenzio non sai cosa aspettarti.

Ecco allora come sostituire con simpatici messaggi le asettiche risposte automatiche (i famosi out of the office from…), come recuperare in corner replicando a un’ email alla quale abbiamo dimenticato di rispondere (orrore! aggiungo io che rispondo generalmente in 24 ore) rilanciando la palla, chiedere scusa per aver commesso un errore e come rifiutare una richiesta lasciando una sensazione positiva alla fine. Anche in questi casi la semplicità è d’obbligo.

5. Dati e cliente al centro per una strategia di comunicazione

Qui confesso di aver messo l’acceleratore alla mia mano che scorreva impazzita sul foglio come l’ago di una vecchia stampante: i concetti che ha espresso Paolo Zanzottera, membro del consiglio di amministrazione di ShinyStat e co-fondatore di Appocrate.it, sono stati davvero tanti e, ahimè, qui ne scrivo solo un accenno.

Non me ne voglia il relatore o voi che state leggendo, ma in sintesi sono stati due: l’importanza di identificare le buyer persona con persone reali,  e il modello see – think – do – care tratto da Avinash Kaushik, guru della web analytics, autore e speaker di fama mondiale. Ovvero come scrivere i contenuti più adatti nei vari stadi di questo modello, rivolti al pubblico di riferimento di ciascuna fase e secondo i canali più appropriati.

Poi occorre naturalmente misurare ogni step di questo schema secondo gli strumenti più idonei del canale scelto.

Ma la bomba che ha sganciato ci ha ammutoliti tutti quanti:

E qui non aggiungo altro: c’è molto da riflettere 😉

6. Un attento piano editoriale per migliorare la pagina aziendale su LinkedIn

È tornata sul palco Valentina Falcinelli accompagnata da Federica Fiorillo, social media specialist di BPER Banca. In questa case study l’organizzatrice del convegno e la sua cliente ci hanno raccontato di come hanno migliorato la pagina aziendale della banca su questo social, attraverso:

  • Il personal branding canva
  • L’analisi della concorrenza
  • Lo studio del linguaggio e del tono di voce più adatto da utilizzare (con la messa al bando del burocratese/aziendalese e dei relativi tecnicismi)
  • Un piano editoriale dettagliato

Il tutto per migliorare la brand awareness e personality della banca, il servizio clienti e il coinvolgimento dei dipendenti.

7. Si può fare ironia seriamente?

Certo che si può fare, ci ha spiegato Nicola Bonora di Mentine (no, non le caramelle!) ma è molto, molto difficile abbiamo capito (provate a riscrivere il vostro profilo social in chiave ironica in dieci minuti!). L’ironia, in senso socratico, è una menzogna, una dissimulazione, un’antifrasi; con l’ironia si dice una cosa per intenderne un’altra. C’è un contesto condiviso tra il mittente e il destinatario che è siglato in un vero e proprio patto di complicità.

Leggete il suo profilo in versione ironica oppure la pagina degli insuccessi della web agency di redesign in cui lavora.

8. E adesso è il turno della satira

Dopo il piacevole intermezzo del mago della motivazione Walter Klinkon, è salito sul palco Alfonso Biondi, di Lercio.it che ci ha parlato della satira. Mi tornano alla mente le lezioni di latino ai tempi della scuola: la satira funziona da millenni e ora ha ritrovato un florido sbocco su internet. Ci ha spiegato la differenza tra:

  • La satira, che fa ridere, e la bufala che è  una notizia  falsa che non fa ridere
  • Le fictional news che come contenuto fanno ridere, hanno uno stile comico e lanciano un messaggio, mentre le bufale hanno un contenuto falso, uno stile giornalistico e hanno come fine, per esempio, quello di aumentare le visualizzazioni
  • La battuta che è costituita da una premessa vera e la chiusa che fa ridere, e le fictional news hanno una premessa falsa o assente e una chiusura divertente

Gli ingredienti per scrivere buone battute sono:

  • La sorpresa (da inserire alla fine)
  • La brevità (un leitmotiv che torna anche qui)
  • Il ritmo unito a una certa musicalità
  • La condivisione (elemento comune all’ironia)

9. La relazione reciproca tra parole e brand

Carlotta Silvestrini, Digital Rebranding Strategist, ci ha spiegato che il branding consiste nel creare una marca in cui vi è una rapida connessione tra cliente e la marca stessa. Per creare un buon branding gli elementi da tenere presente sono:

  • Il naming (che deve suscitare emozioni, non le caratteristiche del prodotto),
  • Il tono di voce (da qui l’importanza di scegliere le parole giuste – ancoeur!)
  • I lessemi (una parola che contraddistingue e rende riconoscibile il marchio)

Occorre scalare la piramide della consapevolezza di marca. I casi più eclatanti sono le volgarizzazioni del marchio: basti pensare ai korn Fflakes, al cellophane, al walkman, ai post-it e alla Nutella in cui la marca si identifica col prodotto stesso e diviene di uso comune. Ha precisato che la qualità non è un valore  della marca; ci ha inoltre parlato dei significati percettivi di un brand e dei diversi modelli di costruzione del naming.

Al termine tutti a svolgere l’esercizio creando naming, pay off e descrizione di prodotto… in 15 minuti!

Ci lascia con un suggerimento: se questi tre elementi pensati per un cliente vengono applicati ad un altro e vanno bene lo stesso, allora è tutto da rifare 🙁

10. Un’associazione per i copywriter

E con la legge di sopportazione del copy, spiegata da Daniela Montieri e Eliana Pavoncello, fondatrici dell’Associazione Italiana Copywriter (@ai_copy), tocchiamo, con grandissima e realissima ironia, il dolente tasto della considerazione che i clienti e altre figure professionali hanno del copywriter.

Della serie ridiamoci pure sopra, ma state attenti che ci stiamo organizzando per restituire il giusto valore al nostro lavoro 😉

11. Descrivere l’invisibile (cit.)

Chiude il convegno l’intervento di Sarah McCartney, titolare della profumeria online 4160Tuesdays ed ex copywriter e scrittrice. Le perle di saggezza che ci legge con tranquillità e determinazione sulla scrittura sono miele per le orecchie di un copywriter:

Sii gentile con i lettori. Per me, la punteggiatura riguarda la gentilezza.

Quando usi correttamente la punteggiatura nessuno se ne accorge. E questa è una gran cosa.

Non sprecare il tempo del tuo lettore. Scrivi per farti capire.

I big data non sono intelligenti. Nessuno è un dato demografico: i nostri clienti sono delle persone.

Bisogna scrivere per le persone non per i numeri (non crede infatti ai big data), a costo di diventare quasi degli attori che talvolta si immedesimano in ruoli in cui non si trovano a loro agio (quando scriviamo di prodotti che non ci piacciono)

Cosa possiamo imparare dall’edizione 2017 di Play Copy

  • Suscitate emozioni forti e scrivete per tessere relazioni (Carlotta Politano + Annamaria Anelli)
  • Scrivete con accuratezza e semplicità, eliminate burocratese e formule ampollose  (Valentina Falcinelli + Leonardo Luccone)
  • Scrivete per persone reali, non per gli utenti nè per i numeri (Zanzottera + Sarah Mc Cartney)
  • Studiate, ripassate e applicate con parsimonia le figure retoriche che non passano mai di moda da oltre 2.000 anni (Nicola Bonora + Alfonso Biondi). Ne trovate un estratto qui.
  • Studiate i manuali di linguistica, fonetica, morfologia, grammatica (o iscrivetevi a Lettere che fate prima!) se avete sentito parlare per la prima volta qui dei lessemi e dei meccanismi di creazione del naming (Carlotta Silvestrini)
  • Riflettete e rispondete a tono quando dicono che scrivere lo può fare chiunque (Daniela Montieri e Eliana Pavoncello) 😉
  • Ripassate e applicate correttamente la punteggiatura, impersonate il lettore che vi leggerà quando scrivete (Sarah Mc Cartney)

In attesa di partecipare al prossimo Play Copy, potete leggere dell’edizione del 2016 in questo post, quando il convegno si chiamava C-Come.

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Photo credit: Pixabay

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